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Fu portato in Italia dai Romani e, in seguito, diffuso nel brontese dagli Arabi, quando strapparono la Sicilia ai Bizantini, che trovarono l’habitat perfetto per uno sviluppo rigoglioso e peculiare nel territorio alle pendici dell’Etna. A conferma di ciò, basta considerare l’affinità etimologica del nome dialettale dato a questo frutto col corrispondente termine arabo: “frastuca” (il frutto) e “frastucara” (la pianta) derivano, infatti, dai termini arabi “fristach”, “frastuch” e “festuch”, derivati a loro volta dalla voce persiana “fistich”.
La varietà italiana coltivata a Bronte è una tra le più pregiate ed è tutelata dal marchio Dop. La specie ha avuto particolare sviluppo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento nelle province di Caltanissetta, Agrigento e Catania. In quest’ultima, ai piedi del vulcano Etna, nel territorio di Bronte, conobbe la massima espansione, tanto che nel 1860 interi pascoli e terreni incolti furono trasformati in pistacchieti e il pistacchio divenne il fulcro di tutto il sistema agricolo ed economico dell’area.
La sua definizione di “Oro Verde” del Mediterraneo deriva, oltre che dal colore verde smeraldo, per le caratteristiche organolettiche derivate da un microclima irripetibile altrove, che ne fanno un frutto d’alto pregio, eccellente per dimensioni e sapore rispetto ai pistacchi provenienti da Grecia, Medio Oriente, California o Argentina.
Idee, ricette e bontà per celebrare la Giornata Mondiale del Pistacchio